MAGGIO 2022
ANAB – NUURTA – SHUKRI
SOMALIA
“MI MANCA LA TERRA, QUI NON SONO COMPLETA”

Come vi chiamate, quanti anni avete, da dove venite?

Anab – Mi chiamo Anab Hamed, arrivo dalla Somalia, ho cinquantuno anni suonati.

 

Shukri. – Sono Shukri Mahamed Mahamud, sono somala, nata nel 1977, vivo in Italia da 4 anni.

 

Da quanto siete in Italia, perché avete scelto l’Italia? È stato un caso, oppure una scelta?

 Anab: Vivo qua in Italia da circa 29 anni. Sono arrivata in Italia nel 1993 quando è scoppiata la guerra. Sono partita dalla Somalia con una nave e ho raggiunto lo Yemen dove sono rimasta 5 mesi. Nel frattempo c’erano gli esuli che vivevano lì che sono riusciti ad ottenere per me un visto per andare in Francia perché in Yemen non c’era lavoro, non c’erano studi. Il mio sogno era di fare medicina, pediatria.  Io ero iscritta a una scuola superiore e mi preparavo per l’esame per l’università. Dallo Yemen sono andata in Francia. Gli amici coi quali ho viaggiato erano intenzionati ad andare in Olanda. Io per non sentirmi sola sono andata fino in Olanda con loro. Ho vissuto per 6 mesi in Olanda. Poi ho scoperto che qui in Italia c’erano i mei amici della scuola superiore e della mia infanzia, tre delle mie amiche somale vivevano qua a Milano. Sono partita da lì, sono venuta da loro che vivevano a Milano e sono rimasta qua da quasi 30 anni.

 

Nuurta: Mi chiamo Nuurta Hamed, vengo dalla Somalia e sono arrivata in Italia nel ’90. Ho 51 anni e il motivo per il quale sono arrivata in Italia non era per lavorare e stare in Italia. Il mio obiettivo era di lavorare circa tre anni e poi tornare in Somalia, perché lavoravo già in Somalia, avevo degli obiettivi. Quando sono arrivata qui purtroppo è scoppiata la guerra civile. Sono rimasta comunque in Italia. Non avevo bisogno di andare in altri paesi. Quando ho visto che non potevo tornare in Somalia, ho provato un po’ a studiare e mi sono iscritta in una scuola superiore con un po’ di difficoltà e ho finito. Non potevo andare all’università. Purtroppo ero da sola e per le facoltà dove potevo andare, la frequenza era obbligatoria, dalle 9 alle 3 del pomeriggio. Siccome non si poteva tornare in Somalia per colpa della guerra civile, alla fine mi sono stabilita qua in Italia. Ho sempre lavorato e mi sono trovata bene, e sono qui ancora oggi.

 

Shukri: sono venuta in Italia perché sono fuggita dalla Somalia per problemi di guerra civile. Voglio costruire la mia vita qua, lavorare e vivere. Ha scelto l’Italia perché mi piace.

 

Come siete arrivate in Italia?

 

Shukri: Non è stato facile. Sono partita dalla Somalia, da Mogadiscio in aereo, e sono andata in Turchia perché avevo un visto per andare in Turchia. In Turchia ho preso, assieme ad altre quattro donne, una nave per turisti e dopo sei giorni siamo arrivate a Catania. Eravamo diventate amiche di viaggio. Volevamo stabilirci a Lecco. Da Catania siamo arrivate a Milano e poi a Lecco. Per due anni ho vissuto a Lecco.

 

Invece tu Nuurta? Il tuo viaggio?

 

Nuurta. Il mio viaggio è stato facilissimo perché ho avuto il visto turistico, anche perché non era mia intenzione fermarmi in Italia. Sono venuta in aereo a Roma. Sono stata per tre mesi a Roma a casa di una amica italo-somala, poi mi sono trasferita a Napoli. A me piaceva sempre Milano: quando ero in Somalia. Mi dicevano. “Vai al nord non al sud”, perché il nord è famoso per la sua economia. In Somalia l’Italia è conosciuta. Mi ricordo che anche quando andavamo al cinema, ci piaceva quello in cui si parlava in lingua italiana. Anche perché c’era una scuola che insegnava cultura italiana. Prima della guerra civile le università erano gestite da autorità italiane; i professori, i medici erano italiani. Quello che investiva di più in Somalia era lo stato Italiano. In particolare chi era intenzionato a frequentare, per esempio, le facoltà di ingegneria o di medicina, negli ultimi anni della scuola superiore facevano anche la scuola di cultura italiana. Per l’università c’era chi si preparava frequentando corsi chi d’inglese e chi di italiano.

A livello di governi c’erano agevolazioni, scambio culturale, anche tra le università, borse di studio. Io praticamente non ho avuto quella fortuna. Mi ricordo che i giovani quando dovevano fare il master, il governo italiano e anche quello russo, offrivano le borse di studio per i corsi. Dopo due anni tornavano in Somalia con un bagaglio di conoscenze e incominciavano a lavorare. Era una cosa abbastanza importante. Erano facili le cose, si, si.

 

Avete famiglia, siete sposate? La famiglia l’avete formata qui in Italia? Avete figli che sono nati qui o nel vostro paese?

 

Anab: Mio marito l’ho conosciuto in Italia in piazza Cordusio. I somali si riunivano lì in piazza Cordusio, c’era una hamburgheria. Ci si trovava lì. Sono sposata e ho una figlia di ventuno anni che studia all’università.

 

Nuurta: Io sono un poco diversa da tutti perché sono sempre cresciuta da sola, da quando avevo 9 anni. Sono stata fortunata perché avendo quella vita di ragazzina, non ho mai incontrato delle strade sbagliate. Avevo i genitori ma a 5 anni ho perso il papà. Non ho figli ma mi piacerebbe avere o curare cento bambini: Sono sposata, per modo di dire, ma il matrimonio non è andato avanti. Adesso sono da sola, sono separata.

 

Shukri: Sono sposata. Ho nove figli. Mio marito e i figli vivono in Somalia. Sono qui in Italia da sola.

 

Come vivete qua in Italia? Quali problemi ma anche opportunità avete avuto? Potete raccontare anche cose belle non solo problemi.

 

Anab: Io per fortuna da quando vivo in Italia non ho mai avuto problemi di disoccupazione. Ho sempre lavorato. Il primo lavoro in Italia che ho scelto era di fare la babysitter. Il mio sogno era di fare il medico pediatra ma quando sono arrivata in Italia non potevo perché dovevo aiutare i miei familiari quindi ho fatto la babysitter e ho curato un sacco di bambini: dodici da quando sono arrivata in Italia. Alcuni sono già sposati e hanno anche figli. Ho la fortuna di avere sempre un legame fortissimo con i bambini che avevo curato e anche adesso che alcune sono già delle mamme o dei papà. Ancora faccio il lavoro di babysitter, I bambini che ho curato e che curo sono italiani. Per fortuna nel frattempo ho fatto diversi corsi e faccio anche la mediatrice culturale; lavoro in ospedale, nel carcere di S. Vittore e in vari Centri di Accoglienza. Per la mediazione lavoro con i somali.

 

Nuurta: Io direi che non ho avuto difficoltà, sia difficoltà di lavoro, ma anche per il resto. Sempre mi sono trovata bene. Ho sempre lavorato. Ho lavorato in albergo, nel sociale, nelle case di cura, ho curato anziani; ho fatto anche la babysitter quando frequentavo la scuola. Adesso con il Covid un po’ tutto è fermo. Ho lavorato in pediatria, nelle scuole d’italiano dove faccio affiancamento agli insegnanti italiani. Ho sempre fatto un po’ di tutto, quindi difficoltà direi non ne ho mai avute.

 

Shukri: Non lavoro ancora. Sto cercando ancora la mia opportunità di lavoro, ma non ho ancora lavorato. Sono stata per due anni in centri di accoglienza, prima a Lecco e poi a Vercelli. Prima ero al CAS in un appartamento per un anno e mezzo, poi allo SPRAR. Però adesso sono uscita. Sono ospite a casa di Anab e sto cercando una sistemazione.

 

Vi sentite accolte qui in Italia? Quale è stato il momento più difficile, più problematico e invece il momento più bello che avete vissuto qua?

 

Anab: Io qui in Italia mi sento accolta perché non ho mai avuto nessun problema. Praticamente quando sono arrivata, ero una ragazzina, avevo 18 anni appena, mi sono inserita bene nella società. Non ho mai avuto nessun tipo né di discriminazione né difficoltà per inserirmi nel mondo del lavoro, e cose del genere. Un momento di difficoltà io l’ho avuto quando ho avuto mia figlia. Quando è nata mia figlia è nata piccola, pesava 2 kg e 700 g più o meno. È rimasta in ospedale per 15 giorni in una incubatrice. Lì mi sono sentita straniera, mi sono sentita sola, perché non ho avuto appoggio, mi mancava la famiglia, mi mancava molto la famiglia perché non avevo vicino mia suocera, mia mamma o mia sorella. Dove sono nata e cresciuta se non hai una famiglia, mamma e papà di fianco, hai i vicini di casa: per noi il quartiere dove si vive, è come avere tutta la famiglia attorno a te per qualsiasi cosa nel bene e nel male. Solo quel momento li, quel momento è stato drammatico. Io ho avuto la figlia quando avevo già 29 anni, desiderata, voluta, ma è stato molto duro per me. Poi per il resto no. Il momento più bello è quando ho avuto lei: il mio sogno, sono rinata.

Un altro momento. Non so se vi ricordate l’11 settembre quando sono cadute le Torri Gemelle, per la prima volta in vita mia mi sono sentita discriminata, per il foulard che avevo, sono stata insultata in strada, mi sono sentita straniera. In quel periodo anche a viaggiare, a prendere i mezzi pubblici, treni, metropolitana, le persone mi notavano, mi hanno fatto capire che sono straniera, non solo straniera ma anche musulmana. Ma per il resto io non ho mai avuto nessuna difficoltà. Solo in quel periodo. È durato poco e poi non ho avuto più niente.

 

Nuurta: Io le difficoltà che ho avuto posso definirle in due modi. Per quanto riguarda i lavori non ho avuto difficoltà. La prima difficoltà che ho avuto invece è stata la lingua italiana. Perché ho avuto difficoltà? Mi sono iscritta a una scuola superiore, operatrice turistica, praticamente era quasi quattro anni che ero in Italia quando mi sono iscritta ma la lingua per me era ancora una cosa strana. Però avevo questa voglia di fare qualcosa. Ho avuto difficoltà innanzitutto nella lingua e quindi cercavo di battermi per fare questa strada, con tanta forza. Dopo un paio di anni, forse al terzo/quarto anno che frequentavo, sapete nelle scuole c’è sempre comunque qualcuno che ti dice qualcosa. C’era un professore che mi fece una domanda, una bella domanda: “Ma in Somalia le donne vanno a scuola?” Io gli ho risposto: “Beh io cosa ci faccio qua, secondo lei? Se le donne non vanno a scuola? Vanno a scuola. Non vanno a studiare sotto gli alberi, vanno a scuola!”. La seconda difficoltà, quando ho finito questa scuola, è stata non poter migliorare e andare all’università, perché se non hai una famiglia, qualcuno che ti dà una mano, da sola non puoi fare. Quindi le mie difficoltà penso siano queste, anche se non mi sono mai fermata. Ho fatto corsi per migliorare il livello lavorativo. Ma praticamente quando sei straniera in un Paese sempre c’è qualcuno che ti dice qualcosa. Forse ho questa strana forza dentro di me a rispondere alle persone, anche non in voce, e penso: “Beh, prima di chiedere o fare qualcosa agli altri, pensa cosa gli altri pensano di te”. La maggior parte non pensa quello che pensano gli altri, ti dicono quello che pensano. Quando sei straniera e vuoi raggiungere un obiettivo, per esempio se io voglio aprire un negozio, per dire, di abbigliamento, e sto pensando a questo piccolo progetto per fare questo negozio, tanti sono convinti che non hai le capacità. Qualsiasi cosa fai sei sottovalutata. Ma bisogna fregarsene. Il momento più bello è quando penso al mio Paese. Bello vuol dire quando hai pace. Bello e posso anche dire fortunata, perché tutto quello che ho cercato di fare sono riuscita a fare, quindi è una bella cosa, ti senti realizzata. Quando riesci a fare qualche cosa è sempre bello. A volte non ci riesci, ma ci hai provato. Ho provato a fare ma non ci sono riuscita, ma è bello lo stesso. In Italia mi sento accettata perché comunque sei tu che fai qualcosa, che fai vedere che hai la capacità di fare. Quindi anche se non sei accolta, se hai la capacità, se sai fare quello che sai fare, gli altri ti accolgono.

 

Shukri; Difficoltà; il momento più brutto non l’ho ancora trovato. In questi quattro anni ho vissuto abbastanza bene. Il momento più bello è quando sono stata accolta in Italia, è stato accettato il mio essere emigrata qua e lo Stato mi ha accolta.

 

 

Voi siete ritornate nel vostro paese? Cosa vi manca della cultura del vostro Paese, ma non solo della cultura, del vostro paese in generale?

 

Anab. Dopo dieci anni che ho vissuto in Italia, sono sempre andata in Somalia, un anno si un anno no. Sono tornata tante volte. Quello che mi manca; mi manca la mia terra, mi manca il mio popolo, mi manca il mio di essere, mi mancano i sapori, l’aria: tutto del mio paese mi manca. Quando sei nel tuo Paese, nel tuo popolo, senti che non ti manca niente. Anzi, quando io sono uscita dal mio Paese che sono venuta in Italia, ho sentito, ho capito che cosa è la tua terra, cos’è che proprio veramente ti rende completa. Qui non sei completa, comunque sono straniera anche se non ho mai avuto difficoltà, ripeto. Qui sono stata molto bene, ma mi manca tutto della mia terra.

 

Nuurta. Mi manca il Paese d’origine dove hai vissuto l’infanzia, dove hai studiato, giocato, dove alla sera quando la luna, la quattordicesima sera, la luna diventa bellissima, diventa come se fosse una lampada dove giocare lì sotto con i bambini. Praticamente il sole esce alle sei di mattina e scende alle sei di sera, è una cosa che qua non c’è, ti mancano. Ricordi tutto quello che hai fatto quando eri piccola. Quello è il momento in cui sei una ragazzina. Poi quando cresci sei più consapevole delle cose, cambi Paese e il tuo Paese ti manca, ti manca. Io, per esempio, quando sono partita dalla Somalia e sono arrivata qua, non sono potuta tornare per circa 17 anni perché c’era la guerra civile. Da quando è scoppiata non si poteva assolutamente tornare in Somalia, non c’era un aereo, non si poteva andare.  Dopo quando sono tornata, con quel desiderio grande, è stato bello. È stata una sensazione bellissima. Quando l’aereo scendeva nell’aeroporto, sopra il mare, che fa così, avevo una gran voglia di buttarmi sulla terra, di toccare tutte quelle cose lì. Quella è una cosa che non avevo mai visto: l’aereo che scende sul mare… quella lì, è un’altra cosa bellissima, bellissima, bellissima. Io ho visto la guerra civile, ma ho vissuto anche in un periodo quando c’era lo Stato, quando c’era un Paese, prima della guerra. Ho vissuto in Somalia quando c’era il governo di allora e tutto procedeva bene, la cultura era grande, mentre oggi è da rifare dopo oltre venti anni di guerra. Comunque sia il ricordo di prima sia quello di adesso sono tutte e due belle cose.

 

Shukri: Della Somalia mi manca ovviamente la famiglia, i figli. Qui fa freddo. Mi manca proprio il clima. Soffro perché mi manca il sole.

 

Cosa vi piace e cosa non vi piace della Somalia?

 

Anab: Quello che non mi piace in Somalia, quando sono tornata dopo la guerra, è il modo in cui la popolazione ha interpretato la religione. È un modo un po’ oltre il mio vissuto in Somalia. Noi eravamo un popolo sì religioso, ma in modo abbastanza soft, abbastanza morbido, mentre adesso, dopo la guerra civile, tanti Paesi arabi sono riusciti a sottomettere tutti i popoli somali, le donne somale specialmente. Vedere come si vestono in quel modo che non è neanche religioso, perché la religione dice che la donna si deve coprire, giustamente, però io quando ero in Somalia non ho vissuto quel modello. Ecco quello che non mi piace è come abusano della religione. In Italia quello che mi piace è la libertà, la libertà che in questo momento manca in Somalia. Qualsiasi cosa che puoi fare la fai, non c’è niente, non ci sono pareti che ti mettono. L’unica cosa che ti mette una parete in Italia è se tu non riesci a raggiungere un obiettivo se è un obiettivo che puoi raggiungere.  Mentre in Somalia, in questo momento, le donne non sono così libere come quando io ho vissuto in Somalia. Sono andata dalla scuola elementare fino alla scuola superiore ed ero pronta ad andare anche all’università: dopo la Somalia è tornata quarant’anni indietro. mentre doveva andare in avanti.

 

Nuurta: Io invece sono diversa. Ciò che non mi va, non sopporto, praticamente sono i “Signori della Guerra”. Tutti quelli che hanno portato il caos in Somalia. Io la chiamerei guerra di turno. Guerra di turno: uno dopo l’altro. Non mi piace questa forma di gestire un Paese, un popolo civile, povero, che ha bisogno di altro, non di chi pensa ai suoi interessi. Questo è quello che non mi piace. Non mi piace questa maniera di tribalismo che usano per i loro interessi. È una cosa che fino ad oggi non mi va giù. Quindi vorrei cambiare. Oggi, negli ultimi anni qualcosina si sta cercando di cambiare, ma con la guerra civile è durata trent’anni e per risanare almeno all’80% ci vogliono più di venti anni. Quindi tutto questo disastro dal novantuno a oggi: portare la spazzatura, scaricare tutte le schifezze in un Paese così, manipolare un Paese così, è una cosa che non mi va giù. Distruggere tre cose fondamentali: gli studi, la sanità e il sociale. Sono le cose che veramente non mi vanno giù.

 

Shukri. Della Somalia non mi piace la politica, il sociale, per i problemi che ha il popolo, come vivono e la guerra.

 

Hai frequentato delle scuole?

 

Shukri: Ho studiato fino alla scuola media e poi mi sono sposata giovanissima.

 

Cosa vi piace e cosa non vi piace dell’Italia?

 

Anab: In Italia mi piace tutto. Non c’è niente, direi che non mi piace. Quello che non mi piace è il modo che discriminano le religioni, ma per il resto io non ho mai avuto nessuna difficoltà. Soltanto alcune persone, che non pensi nemmeno, i giovani tra i quaranta i cinquanta anni, hanno la mentalità molto chiusa. Io ho viaggiato in tutta Europa e in Italia hanno ancora una mentalità abbastanza chiusa. Per il resto, in una buona parte dell’Italia, puoi convivere, sono gente aperta, ti accolgono, puoi fare amicizia.

 

Nuurt:. Mi piace l’Italia. Mi piacciono gli Italiani, la cultura, il carattere. Città aperte… Veramente mi piace. Solo che, senza dire nomi, tra virgolette, quando sento da qualche parte: “si, emigranti, quelli …….”. Questo è quello che non mi piace. Poi: “Tanti stranieri”. Noi lavoriamo. Se lavori vuol dire che fai una cosa utile per lo Stato, quindi non sei una che soltanto consuma, sei anche una che produce. Quindi qualcuno nega che sei anche quella che produce, no!?

 

Shukri: L’Italia mi piace. Non ho mai avuto problemi tranne quando è successo il Covid. A parte il Covid, per adesso l’Italia mi piace.

 

Avete subito discriminazioni?

 

Anab: Ho incominciato a lavorare. Ho fatto la babysitter, in famiglie. I bambini mi hanno accolto come una mamma. La prima casa che ho affittato in Italia, quella famiglia mi ha pagato sia che la cauzione che l’anticipo dei tre mesi. Mi avevano conosciuta poco. Non è che avevano una conoscenza profonda di me, se ero una persona di fiducia, fiducia che mi avevano dato; quindi assolutamente di discriminazione ne ho vista poco o niente ma, tra virgolette, solo in persone chiuse in loro sé stesse, che hanno problemi.

 

Nurta: D’altra parte sei giovane. Anche se magari ti succedono non ti accorgi, no. Io non mi sono mai accorta di discriminazione. Sì, sento quando qualcuno parla in una maniera che non va bene, però non posso dire che è una discriminazione. Magari sono maleducati. No, questo particolare no.

 

Shukri: No.

 

La cittadinanza italiana per voi è importante? Se non l’avete la volete la cercate?

 

Anab. Io la cittadinanza ce l’ho. L’ho avuta quando mia figlia aveva 6/7 anni.

È importante come documento. È importante perché la Somalia è un paese oramai non riconosciuto in nessuna parte del mondo. Il nostro passaporto oramai nessuno lo riconosce. Avere la cittadinanza ti facilita la vita. Ti facilita viaggiare, ti facilita qualsiasi cosa vuoi fare nel mondo o anche qua in Italia. Certe cose ormai o hai i requisiti, hai il permesso di soggiorno, quello che non scade, o devi essere cittadino italiano. A me ha facilitato tantissimo. Io che amo viaggiare in tutto il mondo; mi ha facilitato tantissimo.

 

Nuurta: Ho passaporto italiano. Io sono oramai cittadina italiana. Il passaporto ho voluto prenderlo innanzitutto perché quando è scoppiata la guerra civile è stato annullato il passaporto somalo, quindi l’Italia ha fornito un documento che chiamano “Visto di Viaggio”; è scritto solo italiano, nè arabo, nè inglese, nè niente. Praticamente quando il passaporto somalo è stato fuori legge, ogni Paese Schengen ha fornito un Documento di Viaggio. Quindi è stata questa specie di carta, che non mi piaceva. Ho detto: “Beh mi conviene presentare questo benedetto passaporto”. Quindi facilita molto per il viaggio. Puoi andare dove ti pare, non hai una regola. Questo è veramente bello e importante. L’unica cosa è che ogni volta che ti rechi in comune o altro ti chiedono il “permesso di soggiorno”?!, Anche se hai la carta d’identità. Quindi bello, bello. Si, si, mi piace.

 

Shukri: Adesso non ce l’ho, ma vorrei diventare cittadina italiana.

 

Vorrebbe portare qui la sua famiglia?

 

Shukri. Si è il mio obiettivo.

 

Rispetto alla religione, se siete credenti e se in Italia riuscite a praticare il vostro credo?

 

Anab: Si, Io sono di religione islamica, al 100%. Credo e pratico e riesco a praticare a parte quando sei in giro per motivi di lavoro, esci dal lavoro e fai un po’ di fatica. Come ben sapete la religione islamica ci chiede cinque preghiere giornaliere. Capita durante la settimana quando hai finito di lavorare, stai andando a un altro turno, stai facendo, hai difficoltà di varie preghiere che ti saltano, ma quando posso recupero a casa. Quando torno a casa recupero. In questi ultimi anni, setto/otto anni, c’è che la politica italiana sta cambiando in peggio, diciamo. E alcuni politici come considerano gli stranieri, soprattutto quelli che hanno religione islamica, come il male dell’Italia, ecco. Quello si. Capita che trovi alcune persone che provocano, ti guardano male, ti dicono: “Perché non ti togli questo foulard dalla testa”, “Ma sei più bella senza”, “Ma fai vedere i tuoi capelli”… e battute del genere che non hanno senso. Però sono abituata. Questo c’è. Questo linguaggio. Non è che mi preoccupa molto.

 

Nuurta: Posso dire una battuta prima d’incominciare? Il velo. Durante il Covid tanti italiani sono venuti da me chiedendomi la burka. Cioè la burka intendo, quello che copre la bocca, no. Siccome è d’obbligo questa qua (la mascherina). Cioè, voglio dire, prima si è diceva: “Perché ti metti questo? Perché lo usi?”, Poi quando c’è una cosa più forte come il Covid, diventa una cosa normale. Sì, sì, voi lo usate per proteggere questo virus.

Allora: la religione. Io sono di religione islamica. Di solito uno quando è islamico, pur con tutti i difetti sempre, cerca di seguire la sua religione: fai l’elemosina, fai tutte le regole, segui.  Quindi, direi, seguo. I

Io mi ricordo quando andavo a scuola superiore, c’era un insegnante di italiano. Allora lui mi ha fatto una domanda: “tu preghi?” Io rispondo “si!”  Mi indica un armadio e mi dice: ”Ti do la chiave, quando vuoi pregare metti lì le tue cose e vieni a pregare”. Era bravissimo. Quindi io non penso alla negatività degli altri. Se hai un tuo obiettivo, quel tuo obiettivo, degli altri fregatene.

 

Shukri: Sì ho visto alcune persone che provocano, che dicono: “Perché ti copri, perché questa coperta, perché non te la togli”. Però io sono praticante, credente, quindi credo nella mia religione. Pratico al 100%. Soprattutto nel periodo d’estate, luglio e agosto, la gente ti ferma e dice: “Togliti questa coperta, perché ti copri? Fa caldo”. La gente. E io rispondo: “Non è una coperta, è una specie di foulard, non è una coperta; per me va bene così”.

 

Quali sono le feste più importanti per voi?

 

Anab: È importante la festa di fine Ramadan che si festeggia come il vostro Natale e la festa del sacrificio che è come Pasqua: praticamente come la religione cristiana. Si! Io da quando sono venuta in Italia, circa 29/28 anni che vivo in Italia non ho mai lavorato in quei due giorni. Sia che capiti in qualsiasi giornata, sia se un giorno lavorativo. C’è gente che ti dice: “No”, e in quel momento sta a te. Io ho deciso. No! Questo giorno non lavoro: piuttosto lavoro, se vuoi, il giorno di Natale e faccio qualsiasi cambio turno con qualunque, ma io non ho mai ceduto, Ii ho sempre vissuti come due feste. Trovi difficoltà perché non è un giorno di festività qui in Italia. Capita che qualche volta te lo concedono, qualche volta programmi le tue vacanze; se lavori in un posto dove puoi programmare le tue vacanze, non avrai problemi. Ma la cosa più difficile che io trovo è il mese di Ramadan. Il mese di Ramadan è il mese che da noi si lavora meno e il pomeriggio si sta tutti a casa, e qua in Italia è molto difficile, soprattutto nel periodo d’estate quando il Ramadan coincide con il periodo di caldo.

 

Nuurta: Uguale a Anab, io pratico la mia religione. Quei due giorni di festa sono molto importanti. Tutto è partito dal Ramadan: mi piace di più perché si va dove vanno tutti, si portano cose buone, si fa la festa, si gioca. Vedi un altro mondo, come se non fossi, qua in Italia. Quindi ti dà un’altra sensazione che ti senti addosso. Una bella cosa. Tutti questi bambini che giocano. È bello, è bello. Frequento tutte e due le feste. Difficoltà? No! Io no. Poi io non è che vedo delle difficoltà, io o rispondo o me ne frego. Non è che mi fanno paura le cose. No, no.

 

Shukri. No! Non ho avuto difficoltà perché non ho avuto lavoro, cose che mettono in difficoltà. Sono riuscita sempre ad andare in moschea, pregare e condividere con gli amici.

 

Come vedete il vostro futuro? Volete restare in Italia o tornare nel vostro Paese?

 

Anab: Io, il mio futuro lo vedo in Somalia quando avrò la mia pensione. Quando mia figlia si realizzerà, appena finisce l’università e cammina con le sue gambe, io e mio marito, il nostro obiettivo è tornare in Somalia se ci saranno le condizioni per tornare. Il mio sogno è stato sempre quello e spero che si realizzerà.

 

Shukri: Quando diventerò vecchia, ma sono già vecchia adesso, quando diventerò anziana, vorrei tornare in Somalia.

 

Nuurta: Io invece questa domanda me la sono fatta a me stessa anni fa: “Vuoi rimanere qua oppure tornare?” Allora. Oggi ho cinquanta anni, avevo ventitrè anni quando sono arrivata in Italia. Ho vissuto più in Italia che in Somalia, quindi una parte di me è di là, l’altra parte è di qua, quindi il mio futuro lo vedo che sono un po’ lì un po’ qua, un po’ lì un po’ qua. È una cosa che ho pensato. Il mio futuro lo vedo così.

 

Nuurta: Vorrei dire una cosa. Io ho visto, veramente ciò che non si vede qua, una cosa che non si vede qua. Qua è tutto normale. Vado al mercato ed è tutto normale. Allora, quando vado al mercato in Somalia, purtroppo vedo una parte dove si vendono le armi, vedo un kalashnikov, una pistola, delle granate, da una parte; dall’altra parte vedo le mamme, poverine, che vendono le patate, i pomodori, tutta questa verdura. È una cosa fuori norma, fuori norma. Quindi, allora, quando si vendono le armi come delle patate, cosa immaginate? Un paese povero così, veramente povero, economicamente, per quanto riguarda la sanità, le scuole… da dove vengono queste maledette armi? Avete mai fatto la domanda?