2004 – Modi di dire modi di pensare

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Il proverbio come descrizione del comportamento umano

Il proverbio è previsione, minaccia, buon augurio, apprezzamento, sanzione, contiene una totalità di riferimenti che descrivono un’infinità di comportamenti umani.
Saldamente ancorato al mondo antico – si pensi all’infinità di proverbi latini esistenti – il proverbio assume, nelle società tradizionali, uno status importante nella relazione e nella comunicazione sociale.
Il mondo moderno che ha altri riduzionismi (scientifici, tecnici, economici) più dannosi, rifiuta le semplificazioni dei proverbi. La loro fissità linguistica, che diventa fissità letteraria, ovviamente porta ad una staticità di pensiero oggi incomprensibile. D’altra parte i modi di dire, che ancora circolano e che noi usiamo, devono essere antropologicamente contestualizzati, tenendo conto che valevano per un mondo diverso, quello magico e religioso a noi sconosciuto. Facciamo l’esempio con un proverbio qualsiasi, che si sente ancora oggi nel suo significato metaforico, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”. Al di là del significato morale o moralistico, questo proverbio si basa su un immaginario culturale che non è lo stesso di oggi. Infatti noi vediamo che è il diavolo che agisce, inoltre il proverbio suscita nella nostra percezione l’immagine di pentole di minestroni e di pozioni magiche che sobbollono appese ai camini. Lo stesso significato che le cose nascoste saranno prima o poi scoperte, non corrisponde alla consapevolezza moderna, perché oggi sappiamo che ci sono segreti che possono restare tali per sempre.
Il proverbio trasmette un’assolutezza prescrittiva, sanziona certi comportamenti (soprattutto femminili) che alimentano pregiudizi ampiamente diffusi nelle società patriarcali. Una donna che cambia spesso posto al lavatoio, significa che non è una buona lavandaia (proverbio piemontese: “ ’na grama lavandera, treuva mai ‘na buna pera”), una che cuce con il filo troppo lungo si avvicina al diavolo, quella che torna dopo il suono dell’Ave Maria non è una brava ragazza (proverbio piemontese: “chi turna dop l’Ave Maria, a l’è nen ’na brava fia”), chi si specchia troppo può un giorno o l’altro vederci riflesso il diavolo, chi va spesso a ballare potrebbe incontrare il demonio, e via di questo passo. Erano modi di dire fatti apposta per impedire l’autonomia della donna. Il tutto inserito in società in cui la magia, la religione e il controllo sociale (si sa tutto di tutti) erano imperanti.
Il proverbio era un modo di descrivere un comportamento adeguato in una società di diritto consuetudinario (leggi non scritte, o prescrizioni verbali che accompagnavano leggi scritte). I modi di dire sulla proprietà, il vicinato, gli animali, l’adulterio e altro, servivano a indirizzare e a sanzionare, al momento del giudizio, certi comportamenti. La forma rigida della morale e l’assolutezza dei valori aiutavano a sostenere l’ordine nelle società tradizionali, ma anche a perpetrarne le ingiustizie.
Nel mondo moderno i proverbi tradizionali sono diventati modi di dire divertenti, citazioni spiritose, spesso si cerca di trovare in loro ancora un significato. Due proverbi sono stati coniati dalla società moderna e rispecchiano bene il suo sistema di vita, spesso all’insegna della spietatezza e della velocità mortale. Il primo, “business is business”, vuol dire: di fronte agli affari non tengo conto di niente e di nessuno, e l’altro, “time is money”, rappresenta la nostra condanna ad un agire continuo, ad una vita veloce, tanto da avere quasi un’incapacità a fermarci.
In ogni caso il proverbio, se contestualizzato, costituisce un buono strumento pedagogico.

Grazia Ardissone
antropologa

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Il proverbio, uno strumento per dialogare

“Anche l’elefante può morire per una lancia” diceva un proverbio africano, “Ogni porzione della coda di uno scorpione ne determina la lunghezza”: sulla via dell’educazione interculturale le piccole cose genuine servono più delle grandi dottrine.
Il vero bisogno dell’uomo è quello di comunicare comprendendo l’altro.
La difficoltà dell’uomo moderno di comunicare impone un ritorno alle proprie radici per ristudiare i grandi strumenti che permettevano agli uomini del passato una comunicazione più semplice ed efficace.
Il problema della comunicazione ha mille aspetti e si ripresenta sotto vesti diverse: la difficoltà di rapportarsi all’altro, di avvicinare l’altro, di introdurre una conversazione; la vita solitaria, lo stress, la difficoltà di relazionarsi con il diverso: lo straniero e perfino l’altro sesso.
Nelle civiltà moderne, l’uomo si trova invaso da una moltitudine di canali di informazioni che purtroppo non gli danno l’occasione di partecipare alla discussione ma lo riducono a soggetto passivo.
Certamente parlare dell’intercultura o inventare un linguaggio nuovo per esaltare i meriti dell’intercultura o della convivenza pacifica delle culture in questo contesto non è un’impresa facile.
Come Griot, penso che i proverbi possano essere degli strumenti da usare per dialogare con culture lontane e per scoprire pensieri intimi dei popoli in modo semplice ed intuitivo. Il proverbio è un linguaggio intimo alle culture e si spiega solo contestualizzandolo alla cultura specifica.
In Africa, il proverbio, al di là della sua struttura, si organizza attorno a diversi temi o immagini la cui origine è da ricercarsi spesso nella flora o nella fauna della civiltà di appartenenza. Dunque la natura è per l’uomo un’importante sorgente d’ispirazione.
I grandi temi o le parole chiave che ispirano i proverbi evocano le condizioni umane, la solitudine dell’uomo di fronte alla morte, i rapporti sociali, familiari, il destino, la furbizia, l’ipocrisia e spesso suggeriscono anche tanti consigli.
Ma, nonostante i loro legami stretti con le culture di appartenenza, i proverbi rimangono delle figure aperte e per questo possono ricoprire una moltitudine di situazioni.
Lo spessore del proverbio si nota all’interno del discorso in cui è stato usato; le situazioni nelle quali si usa il proverbio possono essere reali, astratte e immaginarie. In questo caso l’uomo che parla cerca di dire qualcosa della realtà dell’ambiente sociale in cui vive, lo fa per mezzo di proverbi che non hanno uno stretto rapporto con la situazione.
«Che volete che vi dica – diceva il vecchio Evègni ai giovani studenti del suo villaggio – fate il giro del mondo, ma non dimenticate che “l’aquila vola alto nel cielo ma le sue ossa si ritrovano nelle nostre foreste”. Niente è più importante della madre patria; come si dice da noi: “al mattino gli uccelli volano via, ma alla sera ritornano tutti al nido”, ricordatevi che “l’uomo muore ma la tribù rimane”.»
Considerata come un marchio di distinzione, la padronanza dei proverbi rivela dell’individuo che lo usa il suo radicamento nella cultura con la quale intrattiene una stretta simbiosi e di cui contribuisce a mantenere e rendere eterni i valori. Nonostante il proverbio sia spesso considerato un indicatore di saggezza per chi lo usa, non è usato solamente da persone di esperienza, ma fa parte del linguaggio popolare.
Come ci fa notare lo scrittore J. Cauvin “I proverbi segnano i tempi forti di una comunità. Sono come degli spigoli vivi del pensiero di chi parla”.

Michel Koffi Fadonougbo griot
mediatore culturale